La prima cartuccia è andata, anzi è andato via un intero caricatore della mitraglia olimpica. Ad Aiguebelette, ai Mondiali assoluti di canottaggio, la nostra Sara Magnaghi, a bordo del doppio con Laura Schiavone, è stata risucchiata nella acque iridate, non ha potuto lottare per quegli 11 posti che volevano dire cinque cerchi, Rio 2016. L’amarezza, la rabbia, la delusione, l’incredulità e mille altri sentimenti sono il bagaglio di rientro dall’esperienza francese, ogni commento va pensato e pesato.
Sara, che in Italia, da sola, in singolo ha provato ad arrivare, da sola, al traguardo, secondi, secoli prima delle altre compagne di nazionale, ha dovuto abbandonare quella barca perché teoricamente fuori portata nei confronti internazionali, non ha potuto lasciare il tempo al tempo, ma lasciare la qualificazione alle altre, si è arresa all’incertezza di una soluzione che voleva essere certa, all’abisso che le avversarie mondiali le hanno lasciato in acqua e nel cuore.
Purtroppo è veloce la cronaca di questi campionati.
Fin da subito il sogno di questo doppio è apparso miracolo: in batteria Sara e Laura quinte a 15 secondi dalla Nuova Zelanda, nel recupero del giorno dopo stessa posizione, qualche secondo in meno, ma solo i primi due equipaggi proseguivano la strada per Rio. Mezzo mondo che se ne va, così come se ne va la testa delle ragazze: finale C o D poco importa, saranno ventesime infine. Dici poco, c’erano più equipaggi qui che all’olimpiade vera e propria. Eppure la sensazione che qualcosa, tanto, troppo non ha funzionato non può essere repressa; allenamenti, spostamenti, rilevamenti inutili, inefficaci; la fiducia negli altri rischia di diventare sfiducia in se stessi.


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